Il paese fa parte de “I Borghi più Belli d’Italia” ed è Bandiera arancione del Touring Club Italiano. San Leo, meravigliosa capitale d’arte, citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia, è il fulcro della regione storica del Montefeltro ed è la città che gli ha dato il nome.
Nota per le sue vicende storiche e geopolitiche, location per film e documentari, meta turistica d’eccellenza, è la perla preziosa custodita dalla provincia di Rimini. La straordinaria conformazione del luogo, un imponente masso roccioso con pareti a strapiombo ne ha determinato, fin dall’epoca preistorica, la doppia valenza militare e religiosa, testimoniate da manufatti di grandissimo pregio architettonico e artistico.
La città si chiamava Monte Feltro, da Mons Feretrus, nome legato all’importante insediamento romano sorto intorno al tempio consacrato a Giove Feretrio (Jupiter Feretrius). E i Romani già nel III sec. a.C. costruirono sul punto più elevato una fortificazione. Il periodo paleocristiano (II sec. d.C.) è caratterizzato dalla cristianizzazione del luogo dovuta all’arrivo di Leone e Marino, due scalpellini dalmati che fondarono le comunità cristiane di San Leo e San Marino, favorendo la diffusione del cristianesimo in tutta la regione, fino alla nascita della diocesi di Montefeltro. Leone è considerato il primo vescovo della circoscrizione e a lui si deve l’edificazione dell’originario sacrario su cui in epoca carolingia sorse la Pieve, poi rimodernata in età preromanica.
Dopo il VII secolo venne affiancata dalla Cattedrale, consacrata al culto di San Leone. Questa nel 1173 venne rinnovata assumendo forme romanico-lombarde e unita alla possente torre campanaria di origine bizantina. Nel XII secolo la civitas Sanctis Leonis rappresentava un vero e proprio agglomerato urbano, costituito dal Palazzo Vescovile e dalla residenza dei Canonici, nucleo della città sacra, nonché da altri edifici voluti dai Signori Montefeltro che si erano stabiliti qui dalla vicina Carpegna a metà del 1100, assumendo il nome dell’antica città-fortezza di Montefeltro-San Leo.
Città che per due anni era stata capitale d’Italia, dal 962, sotto il Regno di Berengario II. Oggi il mirabile centro storico, integro nel suo rigore e nella sua bellezza originaria, offre immediatamente allo sguardo gli antichi edifici romanici: Pieve, Cattedrale e Torre, ai quali si affiancano numerosi palazzi rinascimentali, come il Palazzo Mediceo, sede dell’elegante Museo di Arte Sacra, la residenza dei Conti Severini-Nardini, il Palazzo Della Rovere, sede del Municipio. Cuore di San Leo la piazza intitolata a Dante che vi fu ospitato come San Francesco, il quale qui ricevette in dono, dal Conte di Chiusi, il Monte della Verna. Sulla punta più alta dello sperone la Fortezza di Francesco di Giorgio Martini, dove fu rinchiuso, dal 1791 fino alla morte, avvenuta nel 1795, Giuseppe Balsamo, noto come Conte di Cagliostro.
Cagliostro e San Leo, un legame indissolubile
La città è legata a un personaggio, a metà tra il curatore e lo stregone, l’eretico e il massone, l’alchimista e il truffatore, che nella capitale del Montefeltro, ha trascorso anni bui, incarcerato dalla Santa Inquisizione dopo l’accusa di eresia, nonostante le abiure e i pentimenti. Presenza non altrettanto triste per San Leo, che dal suo ospite ha tratto infinita notorietà, per altro già meritata per sua antichissima e grandiosa storia, per collocazione e arte. E il Castello in special modo è, dal tempo della sua prigionia, a partire dal 1791 fino alla morte avvenuta nel 1795, legato a colui che prende il nome di Conte di Cagliostro, già Giuseppe Balsamo da Palermo, dove era nato nel 1742. Federico da Montefeltro non avrebbe potuto immaginare che la sua magnifica dimora, ridisegnata in pieno Rinascimento dal geniale architetto senese Francesco di Giorgio Martini, venisse ricordata per il Cagliostro. Però la storia fa questo e altro e poco importa affrontare il controverso tema: chi fosse veramente Cagliostro. Il fenomeno è tale da aver assunto proporzioni stupefacenti, in Italia e nel mondo. Conviene lasciare il personaggio nell’indeterminatezza come lo era già nel secolo dei lumi. Basti citare autori del calibro di Dumas, Schiller, Tolstoj che trovarono in lui ispirazione per i personaggi dei loro romanzi. Goethe scrisse di “considerare Cagliostro un briccone e le sue avventure delle ciurmerie”, mentre il veneziano Casanova lo definì “un genio fannullone che preferisce una vita di vagabondo a un’esistenza laboriosa”. Sta di fatto che il ruolo del siciliano è stato da sempre avvolto nel mistero, così la vita, la morte, la sparizione del suo cadavere, dopo la sepoltura a pochi passi dalla Fortezza leontina. Arcano alimentato da chi ha scritto di lui, chi lo segue ancora oggi, chi fa trovare, il giorno del suo compleanno, un mazzo di rose rosse sul giaciglio di legno all’interno della cella senza che mai sia visto da alcuno. Una prigione detta “Pozzetto”, un tempo priva di ingresso se non il piccolo pertugio da cui veniva calato il cibo e dotata di un’unica apertura verso l’esterno, a più strati d’inferriate, con obbligo di vista su Cattedrale e Pieve. Fu artefice di fatti eccellenti, scaturiti dalla benevolenza di nobili e persino di re e regine, ma anche vittima di insidie che ne provocarono la caduta. Alla sua appartenenza alla massoneria aveva dato un risvolto del tutto personale, interpretando e applicando la dottrina secondo il credo della setta di rito egiziano, di cui era fondatore e gran maestro. Un insolito figlio dell’illuminismo che da esso non troppo aveva appreso in termini di rigore scientifico e filosofico, mentre aveva fatto proprio il cosmopolitismo. Ha vissuto in modo tale da superare il limite della vita stessa e San Leo ne celebra l’onnipresente ricordo.

Punti di interesse
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